Il Gambero Rosso Americano - A.T.A.P.S. ONLUS - Tutela Ambientale

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Il Gambero Rosso Americano

"IL GAMBERO ROSSO AMERICANO, UN PICCOLO OSPITE UN GRANDE PROBLEMA"
L’IMMISSIONE DI NUOVE SPECIE PROVOCA ALTERAZIONI CHE A LUNGO TERMINE POSSONO AVERE EFFETTI DISTRUTTIVI ED IRREVERSIBILI SULLE SPECIE INDIGENE.
(Procambarus clarkii Austropotamobius pallipes)                                                                



E’ arrivato dal lontano Centro-Sud degli Stati Uniti e dal Nord-Est del Messico silenziosamente senza destare troppo clamore. D’altra parte, è un animale piccolo e di dimensioni ridotte non particolarmente vistoso. Non costituisce, infatti, alcun pericolo per l’uomo, e fu importato in Europa a partire dalla fine dell'Ottocento per uso meramente alimentare. Il gambero rosso della louisiana (Procambarus clarkii, Girard 1852) grazie alla sua intraprendenza in poco tempo si è diffuso in Italia dove era presente fino a qualche anno fa solo in allevamento, e si è adattato sia nei grandi fiumi nelle pianure del Nord, sia nei torrenti del Sud Italia, avendo trovato un clima molto simile a quello delle sue terre d’origine. Per cui oggigiorno vive e si riproduce con estrema facilità ed in qualsiasi circostanza climatica dalla Lombardia alla Toscana e dall’Umbria alla Campania.
E’ un crostaceo d'acqua dolce; da adulto può arrivare a circa 20 cm di lunghezza, ed assume una colorazione bruno-rossa, che lo caratterizza nella fase sessualmente attiva, rendendolo  facilmente riconoscibile anche ad un occhio inesperto, dando inoltre il nome volgare alla specie: “red swamp crayfish” ovvero gambero rosso. La prima popolazione riproduttiva è stata individuata in Piemonte nel 1989 (Del Mastro, 1992, 1999), la specie è ormai diffusa in molte Regioni: Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna (Mazzoni et al., 1996); Toscana (Baldaccini 1995; Gherardi et al., 1999); Umbria (Dorr et al., 2003); Marche (Gabucci et al., 1990); Lazio (Gherardi et al., 1999); Abruzzo (Gherardi et al., 1999); Sicilia (D’Angelo & Lo Valvo, 2003). Attualmente la specie è stata rinvenuta anche nel territorio veneziano.  
Questo crostaceo, può essere considerato una specie r-selezionata perché presenta un’elevata fecondità (300-500 uova), una crescita rapida ed una maturità precoce (a 3-5 mesi d’età), strategia tipica delle specie che vivono in ambienti instabili e di quelle colonizzatrici. Questa specie è in grado, se presente in grandi colonie, di sfalsare i già precari equilibri dei nostri fiumi.
Il suo successo come specie invasiva dipende anche dalla capacità di resistere a stress ambientali, quali assenza di acqua superficiale (la sua capacità di restare fuori dall’acqua per ore gli conferisce una straordinaria capacità dispersiva), temperature estreme, salinità, basse concentrazioni di ossigeno e presenza di agenti inquinanti (Barbaresi, 2002). Questi animali, infatti, riescono ad accumulare nei propri tessuti anche i metalli pesanti delle acque inquinate. Inoltre, a differenza delle specie europee come il gambero di fiume (Austrapotamobius pallipes, Lereboullet, 1858), non è soggetto alla “peste del gambero” causata dal fungo Aphanomyces astaci, (Schikora, 1906) ma anzi ne è il “portatore sano”. I pescatori, i pesci e gli uccelli possono contribuire ulteriormente alla diffusione delle spore fungendo da vettori della malattia. I gamberi nostrani, così, soccombono ulteriormente all'avanzata degli americani. Pensare che le specie americane furono introdotte in Europa proprio per arrestare il brusco calo delle specie europee dovuto alla diffusione della peste. Non si immaginava certo che le specie importate sarebbero state la causa ulteriore del declino delle specie autoctone.
La resistenza del Procambarus clarkii a condizioni ambientali estreme può quindi essere messa in relazione sia ad adattamenti fisiologici sia al comportamento di scavo ed occupazione di tane. La tana, costruita scavando gallerie sotterranee, riesce a garantire la sopravvivenza nei momenti delicati del suo ciclo biologico, come la muta o la riproduzione, a proteggersi dai predatori e dalle condizioni climatiche estreme, o troppo calde o troppo fredde. E' in grado di scavare gallerie che possono essere anche molto complesse e ramificate, raggiungendo anche la profondità di 5 metri: in una tana così possono coabitare anche 50 animali. Ecco, dunque, il problema per la stabilità degli argini dei corsi d'acqua e delle coltivazioni agricole laddove l'animale s'insedia. Con la sua attività di scavo, inoltre, il gambero intorbidisce le acque: la luce penetra con più difficoltà e questo ostacola la crescita delle piante. L’introduzione di questa specie alloctona potrebbe portare ad impatti negativi piuttosto considerevoli, quali fenomeni di predazione e competizione con organismi autoctoni, modificazione degli habitat, introduzione di agenti patogeni e fenomeni di instabilità idrogeologica collegati con la sua attività fossoria (Del Mastro, 1999).
La sua plasticità comportamentale è poi confermata dalle abitudini trofiche prevalentemente notturne, infatti la sua dieta molto variegata, è generalista e opportunista: si nutre di ogni sostanza organica disponibile e sa sfruttare, quando le risorse sono limitate, quello che ha a disposizione nell’habitat. Non solo! E' anche in grado di catturare e manipolare molto più velocemente le prede rispetto alla specie italiana e di cibarsi di alimenti nuovi che pure non aveva mai visto prima. E' vorace di girini di rane e rospi e di avanotti di pesci, riducendone così la presenza e facendo aumentare, per conseguenza, quella degli insetti. Mangia anche le larve di specie a rischio come i tritoni. Divora i germogli delle piante e il detrito vegetale: rappresenta quindi un pericolo notevole per le colture e in particolare per le risaie, uno degli ambienti preferiti da questa specie.
Sono diverse le caratteristiche che lo rendono molto competitivo: è in grado di sopravvivere a basse concentrazioni di ossigeno ed in acque ad alta salinità; può sostare anche parecchie ore fuori dall'acqua, respirando l'ossigeno, questo gli permette di spostarsi, viaggiando tra la vegetazione alla ricerca di nuovi habitat da colonizzare. Essendo poi originario di zone calde, sopporta elevate temperature, come 40-50 °C. Vive molto bene anche in località dove si ha il disseccamento estivo, (penisola iberica) e di contro, è in grado di resistere alle basse temperature invernali, rifugiandosi nelle tane e cadendo in una sorta di stato letargico. Osservando il loro comportamento in acquario, si è potuto assistere alla muta che avviene almeno due volte l'anno. Essa consiste nell'abbandono del guscio, che fa da involucro e che protegge l’esemplare, dai predatori. In natura, subito dopo la muta il gambero è esposto al rischio di predazione o per meglio dire di cannibalismo da parte dei propri simili che approfittando della mancanza della corazza, affondano le proprie chele nella carne fino a spolparlo completamente. In effetti, nei giorni che precedono la muta, il gambero si rifugia in una tana, fino a quando la nuova corazza protettiva si sarà ricostituita.
Per la sua invasività predatoria e riproduttiva è stato soprannominato "gambero killer”, infatti, in assenza di predatori naturali, diventa l'anello più forte della catena ecologica. Non sono tantissimi gli animali che in Italia, mangiano il gambero rosso americano, tra questi: l'airone rosso (Ardea purpurea, L. 1766), il tarabuso (Botaurus stellaris, L. 1758), la garzetta (Egretta garzetta, L. 1766), ed il cormorano (Phalacrocorax carbo, L. 1758), il cui numero è aumentato con l'arrivo del gambero. Mentre tra i pesci, c’è il persico trota o “Black bass” (Micropterus salmoides, Lacepède 1802) pure lui 'made in Usa' ed importato diversi anni fa nel Fiume Tanagro , principale affluente di sinistra del fiume Sele, ed il cui corso ricade nell'area contigua del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, nella parte meridionale della Campania. Tuttavia il nemico acerrimo è il luccio (Esox lucius, L. 1758), in grado di predare gamberi di ogni taglia, soprattutto i piccoli. Negli ambienti urbani, il gambero rosso è predato anche dai ratti.
L’immissione di specie alloctone o di individui di specie autoctone provenienti da altre aree, è generalmente una pratica errata, in quanto oltre ai possibili effetti di alterazione ecosistemica, può provocare la diffusione di nuove malattie di cui sono responsabili virus e batteri che utilizzano animali selvatici e domestici come vettori; questa minaccia è ancora più subdola a causa della difficoltà di poter velocemente individuare il potenziale patogeno di cui spesso sono agenti di trasmissione.
In conclusione le aree protette, le oasi, le riserve, in tutto ciò possono avere un ruolo di primo piano nel monitoraggio, nella prevenzione, nella lotta alle specie invasive e alle nuove patologie, non solo perché la conservazione di ecosistemi complessi e in equilibrio può aiutare a fronteggiare questa emergenza, ma anche perché possono operare sul “fronte” stesso delle indagini legate alla biosicurezza

 
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